La bellezza salverà il mondo Lev Nicolaevic Myskin


giovedì 13 maggio 2010

La poesia di Federica Giordano

Federica Giordano, giovane poetessa di Nola, riesce già con i suoi versi a costruire un mondo poetico parallelo di grande valenza, filtrando attraverso gli occhi, il cuore e la mente, un paesaggio intimo e genuino che vorrebbe materializzare anche esternamente, attraverso quei “palmi” che modellano l’anima altrui; od anche dalla “cantina dei pensieri”, e dal silenzio intimo e rigenerante, vedere emergere finalmente una vera umanità.
Sono versi intrisi di forte emotività, ma anche ben imbrigliati in un discorso dolce e pacato, in cui squilla la sua parola poetica, messaggio di sicura ed immediata resa comunicativa.
Ecco qui di seguito qualche esempio del suo talento poetico.

Giuseppe Vetromile


Dietro queste facciate

Dietro queste facciate
piene di sole
si forma qualche mente nuova;
la prossima idea del mondo,
la nuova credenza degli uomini
un nuovo passato
ed un futuro
a cui nessuno aveva pensato mai.
Qualcuno sogna
pezzi di altri cieli,
steso sulla panchina
sotto un tetto di foglie...
e pensa ai nomi
e alle opere,
altri aspettano
che qualcuno afferri
le redini della modernità
e faccia la storia.

F. G.

Dalla cantina dei pensieri

Mi atterrisce
perderti nella folla,
vederti correre
per altre mani
mentre i miei palmi
son fermi ancora
a modellare l’anima tua
in un viso qualunque.
Mi atterrisce
un qualche inganno
senza che nulla possa capire
seppure abbia compreso io stessa
che ogni giorno è passato
come doveva.

Ma esco come da una sbornia
e ci sei tu sempre,
ad asciugarmi la fronte;
gocce di delirio
dalla cantina dei pensieri.

F.G.

Per non soffocare la memoria.

La lacrima precipitando
nei midolli tremò
nella superficie chiara
come un primo gesto
nello specchio.

Increspature concentriche
nelle anime tendono
il momento rappreso
nelle fibre immobili,
il dito del lungo salice nel lago.
La lacrima ingoiata
negli spiriti rilascia
l’aria come il sospiro
di una creatura con due vite,
una chiusura stretta.

L’apnea si colmò
continuando a respirare
per non soffocare la memoria.


Dietro queste facciate

Dietro queste facciate
piene di sole
si forma qualche mente nuova;
la prossima idea del mondo,
la nuova credenza degli uomini
un nuovo passato
ed un futuro
a cui nessuno aveva pensato mai.
Qualcuno sogna
pezzi di altri cieli,
steso sulla panchina
sotto un tetto di foglie...
e pensa ai nomi
e alle opere,
altri aspettano
che qualcuno afferri
le redini della modernità
e faccia la storia.

F.G.

martedì 11 maggio 2010

ROSA A TUTTO CAMPO A “ABITARE LA NATURA” DI DOMICELLA

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festa_delle_roseDomicella - Maggio è il mese delle rose. Nulla di più normale che in un vivaio in cui si coltiva questo fiore, in questo caso “Abitare la natura” della famiglia Palmese a Domicella, nella bassa Irpinia, si pensi allora a una “Festa delle Rose”. Un’idea che ha ormai dodici anni – tante le edizioni tenute finora – e che vuole far convergere intorno alla “promozione” del prodotto anche una serie di manifestazioni artistico-culturali. Dalla musica alle arti figurative alla poesia. Il tutto si svolge all’aperto, nel giardino di villa Palmese, con negli occhi le rose, appunto, ma anche piante di agrumi, e sullo sfondo il Vesuvio, e nelle narici il profumo stesso delle rose in fiore.

Così anche quest’anno: la festa si è tenuta sabato 8 e domenica 9 maggio 2010, dalle ore 10 all’imbrunire. Da un lato le rose in vendita, operazione “seguita” da Carmine Palmese. Dall’altro, uno stand di Hortus Hesperidis, dedicato agli agrumi di Sicilia, presentati anche con una bella messa in scena coreografica e un bel gioco di colori. Nel pomeriggio e nella serata di sabato, nell’aria del giardino è “volata” la voce di Fania Lauro che ha eseguito un repertorio di canzoni classiche napoletane. Per tutta la giornata di domenica, invece, il gruppo napoletano “I Flegrei” ha concertato delle tammurriate, con relativa danza d’accompagnamento.Sempre nel pomeriggio domenicale, c’è stato un recital poetico di testi dedicati al fiore festeggiato, appunto intitolato “La rosa e altro”.gruppo_folkI sei poeti che si sono alternati nello spazio del giardino – Carlangelo Mauro, Federica Giordano, Alfonso Severino, Raffaele Urraro, Giuseppe Vetromile e il sottoscritto – hanno letto poesie con riferimenti alla natura, con occhio di riguardo, ovviamente, alla rosa. È la prima volta che si è tenuta una manifestazione del genere, con partecipazione “dal vivo” di autori del territorio, a villa Palmese. Per più anni ci si era “limitati” a fare un percorso con testi stampati collocati su leggii, un percorso che riguardava poesie dedicate alla rosa dall’antichità al novecento: itinerario letterario riproposto comunque anche quest’anno. Infine, per le arti figurative, segnaliamo la presenza della pittrice Irene Capasso che ha esposto suoi delicati acquarelli nei quali ha raffigurato alcune delle rose coltivate da Carmine. Il tutto, poi, condito anche da dolci e liquori ricavati dalle rose, attività questa curata da Anna Carmela Palmese. Presente quest’anno anche la sorella Cristina, che vive a Madrid, che ha avuto cura di documentare con riprese video quanto avvenuto nelle due giornate.

Non va dimenticato, infine, che questa edizione 2010 è stata dedicata alla madre, la signora Gerarda, scomparsa da poco. Ma non si può dire che la sua presenza sia comunque mancata nel ricordo di tutti, c’era anche lì con gli altri nel giardino.

Enzo Rega


Incontro di poesia a Domicella: Festa delle Rose - Lettura di

poesia con Carlangelo Mauro, Federica Giordano, Enzo Rega,

Alfonso Severino, Raffaele Urraro, Giuseppe Vetromile,

introduzione di Pasquale Gerardo Santella.

Meine freie deutsche Jugend - La Stasi dietro il lavello

“La Stasi dietro il lavello”. Questo il titolo che il professore cosentino Franco Filice ha scelto per la versione italiana da lui sapientemente curata de “Meine freie deutsche Jugend” di Claudia Rusch. In questo libro, la scrittrice tedesca ha raccolto le sue memorie di piccola abitante della DDR. Rispetto alla vastissima produzione sul tema dell’Europa e della Germania divise, la Rusch fornisce ai lettori un’ immagine inedita di quel periodo storico, puntando l’accento sulla sua irriducibile soggettività, che già in tenera età rivendicava i suoi spazi e la sua autonomia. Si tratta di racconti che hanno la forza della storia, la delicatezza dell'autobiografia e l'ironia sincera e veritiera dei bambini. Questi gli strumenti necessari per acquisire consapevolezza politica e sociale di eventi che forse sembrano precipitare inesorabilmente nel momento in cui si verificano. Per parlare di un regime e della sua retorica, l’autrice utilizza quindi una personale “lingua laica” dal tono ironico e confidenziale, con il gusto della “scena minima”. Pienamente rispettato dal curatore il registro linguistico, la cui efficacia conferisce potenza e carattere alle pagine italiane. Tale scelta stilistica è letteraria ma non solo. La Rusch in questo modo scrive liberamente della DDR tutta intera, una DDR che come tutte le realtà socio-politiche è profondamente eterogenea e che sarebbe illecito classificare soltanto come un momento dialettico della storia. Affiorano dunque dai racconti sentimenti ambivalenti e contraddittori: insofferenza per gli spazi ristretti del totalitarismo e amore incondizionato per il mondo cui, nonostante tutto, si appartiene. Questa “spaccatura” è una cifra pregnante sia dell’esperienza autobiografica sia del libro in sé. Racconti come “La mela candita di Honecker” e “Il discorso” ne sono esemplificativi: Claudia da bambina e da ragazza vuole travalicare i limiti del consentito, vuole sentirsi libera di scegliersi la sua DDR. Quella che le si presenta davanti agli occhi è invece una realtà che spesso non capisce e non condivide e con la quale non può interagire. Tutte le considerazioni della sua fortissima personalità, trovano spazio solo in sé stessa. L’autrice descrive questo suo stato interiore in maniera brillante utilizzando l’espediente retorico della “freddura”. Questo rappresenta in maniera molto efficace il cortocircuito che fa il giudizio puro e semplice di una ragazzina con l' "indottrinamento" del regime. Una non corrispondenza, un qui pro quo continuo che trova inattese risoluzioni solo con il tempo. Che gli scarafaggi fossero insetti non sembrava essere una considerazione sciocca per Claudia, alla quale questo nome riportava alla mente i poliziotti della Stasi, il volto ufficiale della DDR. I nomi degli alberi non hanno nulla a che fare con le creature della natura, ma sono nomi in codice che per lei, appartenente alla sfera dei dissidenti politici, deve temere in quanto spie. Se è vero tutto ciò, è pur vero che Claudia Rusch riconosce ad alcuni cittadini della DDR un ruolo determinante per la sua vita e per la sua crescita personale: la preside della scuola che, per la prima volta, non mortifica la sua intelligenza vivace e fuori dal comune stimolandola continuamente a perseguire obiettivi differenziati, l’amichetta Peggy che prende le sue difese smascherando con una breve arringa fanciullesca e disarmante l’ipocrisia cieca del professor Petzke, la compagna conosciuta al campo estivo di matematica Andy con la quale sente di condividere tanto.
L’immagine che emerge dalla raccolta è quella di una DDR a due facce che, se da un lato intimorisce e mortifica, dall’altro non impedisce alla scrittrice di sentire il forte legame con la sua infanzia e con la sua gioventù trascorsa con i ritmi fisiologici all’interno del suo sistema, il passaggio all’età adulta stigmatizzato dal rito della Jugendweihe.
Nel 1989, quando giunge la notizia della caduta del muro, Claudia Rusch si reca a Berlino-Ovest. Sente di avere un debito da colmare. Quando in un bar ordina un succo di banana, le torna alla mente una vecchia barzelletta sulla DDR. “Perché la banana è curva? Perché per evitare la DDR deve girarle intorno!” Così recitava la barzelletta. Ma se le banane nel suo paese non avevano diritto di cittadinanza, lei la cittadinanza l’aveva eccome. Dopo l’immersione nei colori e nella varietà di Berlino Ovest, Claudia torna nella sua DDR mostrando all’agente il suo documento di riconoscimento.
Questo aneddoto, uno dei tanti del libro, testimonia la posizione dell’autrice nei confronti della DDR. Una posizione mediana, che non tende a nessun estremismo critico né ad apologie a posteriori, una visione lucida quella della Rusch. Attraverso il racconto delle sue esperienze, rende oggettivi e tangibili quegli anni di storia, presentando così una DDR che non è composta esclusivamente da una serie di Honecker o di Mielke. L’autrice ha fornito con questo libro un approccio di analisi nuovo, che permette al lettore di comprendere meglio i presupposti e le dinamiche di quel processo di riunificazione che, come scrive il politologo Prantl, è costato alla Germania come uno sbarco sulla luna.

Federica Giordano

martedì 14 aprile 2009

SOLITUDINE E SOLIDARIETA'
Saggi su Sartre, Merleau-Ponty e Camus
Aniello Montano

Aniello Montano ha recentemente presentato il suo libro “Solitudine e solidarietà, saggi su Sartre, Merleau-Ponty e Camus", edizioni Bibliopolis.
Aniello Montano, attualmente Professore di Storia della Filosofia presso l’Università di Salerno, ha insegnato all’Università di Genova dal 1988 al 1991. Collabora con riviste specialistiche e ha pubblicato numerosi saggi sui Presocratici e su Platone, ha tradotto e introdotto opere di Hobbes e Spinoza. È inoltre un esperto conoscitore di Giordano Bruno.
suo ultimo libro, Montano analizza l’esistenzialismo francese che, con il suo profondo radicamento all’interno della fenomenologia, si afferma nel periodo a cavallo tra le due guerre, periodo in cui le analisi di Kierkegaard trovano un corrispettivo riscontro storico nella considerazione dell’uomo e dell’esistenza. Gli anni Trenta del Novecento vedono dunque la crisi della “coscienza europea”, coscienza che affondava le sue radici filosofiche nelle categorie kantiane. Kant aveva legato la storia e la natura in modo tale da far risultare la prima “scenario necessario” per lo svolgersi della seconda, le cui leggi risultano essere una sorta di mano invisibile che regola gli accadimenti, proprio come la mano invisibile invocata da Smith per regolare il mercato. Secondo Kant dunque, la libertà dell’uomo è necessità; necessità di cui però non si ha consapevolezza. Kierkegaard invece non individua un processo dialettico alla base delle azioni degli uomini, l’esistenza è legata al concetto della possibilità e le scelte sono operate al buio, con tutto il peso della consapevolezza che questa entrerà poi a far parte dell’individuo stesso. Ecco dunque trovata l’origine della “responsabilità”, concetto ripreso anche da tutte le “etiche” del Novecento.
Una volta chiarite queste due posizioni contrastanti (Kant e Kierkegaard), è possibile inserire anche l’Esistenzialismo in un contesto filosofico preciso. I tre pilastri di questa corrente (Sartre, Marleau-Ponty e Camus) cercano di strappare l’uomo dalla prigione della sua individualità e della sua solitudine disperante ricercando un varco di salvezza che consenti l’incontro costruttivo e positivo tra gli individui.
Dopo queste premesse generali, Montano si sofferma sulle posizioni dei singoli autori con il suo stile chiaro e scorrevole. Sartre rifiuta il solipsismo (L’essere e il nulla) e giustifica questa posizione con l’intuizione hegeliana per la quale il rapporto “io e l’altro” approda ad un legame sintetico e attivo. Si tratta della solidarietà. Ogni tentativo intersoggettivo, pur carico di tensioni e speranze, arriva però ad una delusione e ad una nuova sconfitta.
Marleau-Ponty, discostandosi da Sartre, imposta la sua analisi filosofica in maniera diversa: il punto di partenza è “l’essere nel mondo” (che sicuramente ricorda il “Dasein” di un altro importante esistenzialista, il tedesco Martin Heidegger). Centro di questo “sistema” è una pluralità di coscienze che non sono separate dal corpo. Ogni psiche è incarnata e vede il mondo solo nell’ottica della propria azione, e non come una realtà ontologica indipendentemente esistente. Da questa posizione, consegue una concezione dell’intersoggettività positiva e non antagonistica. “Ogni individuo è tessitura del mondo”
L’esperienza di Camus parte invece da un nichilismo di matrice nietzschiana, che vede il mondo e l’esistenza legate dal segno dell’ “assurdo” dovuto al fatto che esiste una crepa profonda tra idea e praticità. La rivolta (ne La peste e L’uomo in rivolta) è la fuoriuscita del singolo dalla propria solitudine e tende alla solidarietà e al cum-patire. In questo modo, si giunge ad una deificazione della specie, che con il suo ideale di oltre-umanità (ϋbermensch) assicura la salvezza di tutti.
Camus recupera su queste basi una serie di valori quali l’amore per il prossimo, l’amicizia, la lealtà e la sincerità, il senso di “partecipazione”. A questo proposito critica l’immagine romantica dello “scrittore”, uomo solitario chiuso nel suo mondo ideale e fittizio, critica i due estremismi di Hegel (Idealismo) e di Marx (Materialismo) preferendo a questo l’ideale classico della “metriotes”, ovvero del senso della misura.
Illuminante è stato l’intervento dello stesso Montano alla fine della serata. Questi, con grande umiltà, ha affermato: “la filosofia, nonostante non sia praticata, attiene alla vita e al nostro progetto esistenziale”. L’uomo, afferma l’autore, è come un bambino soggetto a “febbre di crescenza”. Questa metafora fa riferimento alla natura “necessitaristica” degli uomini che hanno bisogno di punti di riferimento fermi e di sicurezze che hanno una valenza quasi esclusivamente “curativa”. Infatti gli individui sono persone a più facce, non esiste personalità che non sia soggetta al relativismo e all’incongruenza dei principi condivisi e non. Montano conclude sottolineando l’importanza del Cristianesimo ai fini della “conservazione” dell’individualità aggiunge che la riflessione filosofica deve portare ad un dialogo etico e civile e non ad una polemica astratta.
Federica Giordano

sabato 4 aprile 2009

Attraverso le anime


Attraversando le anime
dei luoghi,
gioire di bellezza
e poi rimpiangere l’amore
per quei tempi scavalcati
dalla scoperta del dolore,
in quella passione fatta di membra
e di silenzi sottomessi
all’armonia ancora una volta
persa.
Attraverso le anime
dei luoghi,
sentirsi sempre di passaggio.

Federica Giordano